MASSIMO ANDREI

Image_143UN GLADIATOREAttore, regista ed autore teatrale, ha fatto parte per cinque anni della compagnia di Vincenzo Salemme, interpretando “Di Mamma ce n’è una sola”, “Sogni e bisogni”, “Ho fatto a pezzi il teatro”, “L’amico del cuore”. Sempre a teatro si è avvicinato sia alla drammaturgia contemporanea, diretto da Pier Paolo Sepe, sia alla commedia (Scarpetta, De Filippo).

Come regista teatrale ha maturato diverse esperienze, dirigendo sia spettacoli musicali che tragedie comiche. Autore radio televisivo e musicale, sul piccolo schermo ha anche lavorato come attore in “Il Commissario Manara 1 e 2”, regie di Davide Marengo e Luca Ribuoli, “Famiglia Salemme Show” di Giampiero Solari e Duccio Forzano, “Una famiglia in giallo” di Alberto Simone, “Camici bianchi” di Stefano Amatucci, “Tequila e Bonetti” di Bruno Nappi, “Valeria medico legale” di Gian Francesco Lazotti e “La voce del sangue” di Alessandro Di Robilant. Sul grande schermo ha lavorato come attore in produzioni come “Lo spazio bianco” di Francesca Comencini, “Nauta” di Guido Pappadà, “Amore a prima vista” e “Volesse il cielo!” entrambe di Vincenzo Salemme.

Il suo film d’esordio da regista, “Mater Natura”, (di cui ha curato anche soggetto e sceneggiatura), è stato vincitore della Settimana della Critica alla 62° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Premio del Pubblico, Premio Isvema, Premio Fedic e numerosi altri riconoscimenti in vari festival di Cinema. È stato inoltre sceneggiatore di “Nauta” e del lungometraggio “Senza zucchero”.

NOTE DI REGIA La miseria non fa ridere quasi mai, ma ho cercato di raccontarla mantenendo il tono esilarante ereditato dalla commedia teatrale da cui hai origine questa vicenda. Non volevo che ci fossero le tinte fosche e losche dell’insediamento di un immigrato ai margini della nostra comunità, ma che ci fossero musica e colori vivaci per raccontare il mondo del finto benessere raggiunto da chi sfrutta: un mondo che alla prima occasione non rinuncia a costosi Suv.

Non volevo perdere quella comicità che scaturisce dalla mancanza totale di mezzi, da quella miseria estrema che porta i protagonisti di questa storia a fare qualsiasi cosa pur di farcela, anche travestirsi da centurione e girare in biga per una Roma trafficata, e – volendo guardare al grande cinema – ho cercato di farmi ispirare dalle atmosfere del primo atto di “Miseria e Nobiltà” con Totò, nell’immaginare i miei fantastici disperati. È proprio nel raccontare l’arte dell’arrangiarsi nella sua forma più bizzarra, che si evidenzia l’entusiasmo che il nostro bielorusso porta nel rassegnato e sfinito mondo dei suoi “padroni”. Il tutto senza i toni tristi e amari che il plot vorrebbe, ma tradendo le tipiche tinte del dolore e della miseria e narrando con colori e musiche popolari un mondo che nonostante le privazioni, non rinuncia a schermi al plasma, prontomoda e accessori pseudogriffati, incerate verde-acido e auto costose.

Infine Roma, protagonista anche lei di questa storia: la Roma costruita per il popolo di 2000 anni fa e la Roma costruita per il popolo di oggi e cioè il Colosseo, edificato per ospitare spettacoli popolari, una Roma A come Archeologica, e i palazzoni di cemento armato della periferia romana, fatta di appartamenti pressati uno sull’altro, dove vivono i nuovi poveri, quelli che hanno perduto tutto in questi anni e i poveri di sempre, quelli che non hanno avuto mai niente. Evitando completamente la Roma papale, quella umbertina, quella del Ventennio e quella residenziale, solo la Roma archeologica e quella dell’estrema periferia, cioè la A e la Z fanno da sfondo a questa storia di tre comiche disperazioni.