BRUNO OLIVIERO

BRUNO OLIVIERO

LA VARIABILE UMANANato nel 1972, cresciuto nella periferia sud di Napoli. Dopo gli studi in antropologia e un’ esperienza in teatro a Napoli alla fine degli anni 90 inizia a fare documentari che nel corso degli anni hanno partecipato con successo ad importanti festival internazionali.

Dopo il suo trasferimento a Milano nel 2003 si divide tra Napoli, Milano e Parigi, per realizzare i suoi documentari che spesso sono prodotti in Francia. “La variabile umana”, suo primo film di finzione, arriva dopo tre documentari dedicati alla Città di Milano : “MM Milano mafia” sulla presenza mafiosa, “Milano 55,1” sulla politica, “Il giudice e il segreto di stato” sulla giustizia e il terrorismo. I suoi film documentari vengono trasmessi con regolarità dalle televisioni europee.

NOTE DI REGIA “Si tratta di un film ispirato alla letteratura gialla americana degli anni Trenta, ad autori come Cornell Woolrich. (…) Quando ho iniziato a scrivere il film inizialmente l’idea era di dar vita ad un personaggio maschile che rappresentasse la legge e che fosse deluso da quello che la sua professione nella funzione pubblica rappresenta. Volevo che egli fosse poi richiamato da un fatto personale molto spinoso a ripensare al suo ruolo di uomo pubblico (…). Faccio da sempre documentari e sentire il clima del luogo è una delle mie prerogative. Ci siamo limitati a osservare il clima che si viveva a Milano. Al centro della storia c’è un uomo messo in crisi da istanze morali ed etiche che lo toccano da vicino, ma abbiamo lavorato su quello che c’era intorno e Milano era già così prima delle notizie di cronaca. (…) Ho voluto essere molto preciso nel raccontare una città quasi mitologica, mi sono sentito più libero che nel documentario ma la mia è stata una scelta ponderata, potevo finalmente analizzare tutta quella parte dell’animo umano senza che il mio lavoro risultasse ai limiti del voyeuristico, quando lavori ad un documentario prendi pezzi di vita reale della gente mentre qui li costruisci tu senza essere invadente. (…) Penso che per fare il cinema oggi bisogna fare delle proposte agli spettatori, dargli qualcosa di nuovo: si tende per lo più a desaturare i film di questo genere, che sono sempre lividi, tendenti al bianco e nero. Col direttore della fotografia ci siamo detti invece che dovevamo costruire una sorta di iperrealtà, saturando in post produzione. Volevamo mischiare il cinema classico hollywoodiano, con i suoi carrelli e i dolly, con la macchina a mano più semplice possibile, che viene dal documentario”. (dichiarazioni di Bruno Oliviero tratte dai siti comingsoon.it e movieplayer.it)