MATTEO OLEOTTO

Image_090ZORANNasce a Gorizia nel 1977. Nel 2001 si diploma come attore presso la Civica Accademia d’ Arte Drammatica “Nico Pepe” di Udine e nel 2005 si e` diplomato come regista presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. I suoi cortometraggi “A doppio filo”, “Casinò Paradajz”, “Can can”, “Stanza 21”, “Passeranno anche stanotte”, “La luna ci guarda”, hanno viaggiato per il mondo riscuotendo premi e menzioni speciali.

Ha lavorato inoltre, in qualita` di regista, per programmi televisivi e spot commerciali, andati in onda su La7, MTV, RAI3, history ChannelL e Foxlife. E` stato coproduttore, aiuto regista e attore per il pluripremiato cortometraggio dal titolo “Nonna si deve asciugare” di Alfredo Covelli e ha partecipato come attore coprotagonista al film “Lezioni di cioccolato” di Claudio Cupellini.

Prima di dedicarsi completamente alla regia ha lavorato come telefonista in un call-center, come bagnino, in una ditta di traslochi, in un autolavaggio, come operaio in una ditta di microcomponenti, assistente notturno di un ospedale psichiatrico, cameriere, aiuto cuoco, giardiniere, arbitro di basket, portiere d’albergo, istruttore di nuoto. Ad oggi, sta sviluppando il suo secondo film e nel tempo libero, si occupa di vino, gestendo la vigna di famiglia, lasciatagli in eredita`.

NOTE DI REGIA Dopo 13 anni trascorsi a Roma ho deciso di ritornare a casa mia, in Friuli Venezia Giulia, per girare il mio primo film. Gli anni trascorsi a Roma mi sono serviti per studiare e per formarmi come regista, ma anche per scrollarmi di dosso le dinamiche del piccolo centro in cui sono nato e cresciuto, nelle quali ero letteralmente immerso. Proprio questo distacco e il mio conseguente ritorno, mi hanno regalato la lucidita` nell’osservarle che altrimenti non avrei avuto. E una grande voglia di raccontarle. Un tempo pensavo che in un paese non accadesse nulla d’interessante e che solo la citta` potesse essere un luogo vitale di scambio e d’interazione. Oggi sono pronto a ricredermi.

Ho capito che la citta` puo` raffreddare e inibire il contatto: le persone hanno modo di nascondersi, di confondersi, di perdersi. In una grande citta` e` sufficiente frequentare quartieri differenti per non incontrarsi per mesi, per anni. In un paese questo non accade. Le dimensioni di un piccolo centro di provincia costringono a partecipare alla vita di tutti, che lo si voglia o meno: impossibile sottrarsi all’attenzione della collettivita`, impossibile nascondersi, impossibile perdersi di vista. Centro nevralgico di queste dinamiche e` la piazza del paese e, in una terra come la mia, l’osteria, dove si incrociano volti, informazioni, esistenze, frustrazioni, passioni.

L’osteria vista come palcoscenico che accoglie professionisti e attori allo sbaraglio, come luogo in cui ci si rifugia per sollevare questioni e da cui si esce senza aver avuto delle risposte. Nel mio film ho voluto raccontare come le vicissitudini di un uomo che si ritrova improvvisamente costretto a gestire la vita di un nipote s’intreccino a quelle della piccola collettivita` che, come un bassorilievo animato, fa da sfondo alla vicenda.

Anni fa ho conosciuto un adolescente schivo e timido, con un gran talento per il gioco delle freccette. Soltanto con le sue freccette in mano e lo sguardo fisso sul bersaglio accettava di trovarsi al centro dell’attenzione di tutti. Nei rapidi minuti in cui si svolgeva il gioco diventava forte e quasi spregiudicato nel relazionarsi con gli altri e nei suoi occhi brillavano lampi d’intelligenza. Terminata la competizione rientrava sotto l’ombra della sua consueta timidezza. Mi ha molto colpito il modo in cui una grande passione potesse arrivare a cambiare i contorni del carattere di un giovane ragazzo, seppur momentaneamente. E cosi` ho deciso di fare di lui il mio Zoran.

Paolo invece e` un distillato delle tante persone che animano la mia piccola citta`. Persone che passano le loro giornate a fantasticare sui luoghi in cui vorrebbero andare anche se sanno che non se ne andranno mai. Individui che hanno trascorso una settimana a Parigi in viaggio di nozze vent’anni fa, e che parlano delle capitali europee come se le avessero conosciute tutte. Uomini che vivono contemporaneamente l’orgoglio e la frustrazione di non essersene andati, e mettono a tacere il contrasto di emozioni ordinando un altro bicchiere di vino.

A popolare il mondo in cui vive Paolo, un corollario di figure concrete, rassegnate, appassionate, ironiche, che parlano molto per coprire i silenzi, che dicono per nascondere quello che non riescono a dire, che temono piu` di ogni altra cosa di fare brutta figura e i loro sforzi li spingono fatalmente a diventare interessanti e poetici. Un personaggio occulto di questo film, e` senza dubbio il vino. Se nel resto d’Italia si usa l’espressione “ci vediamo per un caffe`?”, in Friuli si dice “ci vediamo per bere un bicchiere?”, e che si tratti di vino e` sottinteso. Il vino che fa prendere delle decisioni importanti e perdere importanti occasioni; il vino che confonde, enfatizza, stordisce o rallegra. Il vino come complice di Paolo nei suoi piani inconcludenti e che accompagna la sua ostinata solitudine; il vino come merce di scambio, come filo rosso nei racconti d’osteria, il vino che motiva il fallimento o come fattore di dipendenza spesso inconscia. E` una commedia rigorosa nonostante ci sia una ex moglie che invita a pranzo l’ex marito alla presenza dell’attuale convivente, nonostante una donna anziana passi il suo tempo a bere di nascosto dal figlio, nonostante ci sia un uomo che cerca in Dio la forza per smettere di bere e nonostante un protagonista arrabbiato e cinico cerchi di farsi i soldi e di recuperare un amore attraverso un nipote scemo capace di giocare a freccette. Vi sembra impossibile? A me no.